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La “coscienza” di Medea (Eur. Med. 1078-80)

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Traduzione a cura di: Benedetto Marzullo


Nella conclusione del monologo di Medea, spicca una aguzza, disperata (ma anche disperante) punta. Focalizza un contenuto di coscienza inusuale, se non rivoluziona­rio: prospetta ?na lucida, all’apparenza contraddittoria definizione dell’umano com­portamento, finora ignoto, non soltanto alla tragedia. Che si tratti del primo ,,mono­logo”, reperibile nella drammaturgia classica, va sottolineato1: dalla esacerbata proposizione del proprio ,,io si apre, infatti, la via al melodramma. Un evento storico, non diverso da quanto umanisticamente ripercorrerà, sullo scorcio del sedicesimo secolo, la fiorentina Ca111erata de’ Bardi. Con un precoce sovvertimento del canone tragico, Medea inaugura il virtuosistico patetismo delle ,,arie”: con il sorprendente ,,assolo”, elegge a suo peculiare strumento l’ EÀ.eoç, fenunineo prodotto del cpé>poç.
Lo specifico significato di questi versi estremi, la loro carica ribelle sembra in gene­re sfuggita. Gran parte dell’intero monologo (vv. 1056-80), del resto, fu atetizzata dal grande Bergk, la modernissima edizione di J a_mes Diggle espunge, sorprendentemente, il dirompente nocciolo di questa tragedia2 Esso consente, in realtà, di affrancare la singolare eroina dalle malignità, di cui la gratifica il corrente mito, provvede a liberar-: la da motivazioni psicologicamente (più che storicamente) individuate. Le assicura uri risarcimento, tutt’altro che fantasioso ovvero episodico, ma esistenziahnente verifi­cabile. Sfuggendo ai clamori del mito, la natura di Medea si dimostra nient’ affatto selvaggia, acquista inopinata consapevolezza, perché non rassegnata alla sconfitta per­sonale.
Il messaggio allude, verosimilmente, ad altro e non meno catastrofico smacco, cui Atene si è avviata nelle medesime settimane (marzo 431): lo scoppio della Gnerra del Peloponneso, che si intuisce interminabile, distruttiva, nessuno tuttavia è in grado di rifiutare3 Una fol?ia ineluttabile, per quanto annunciata, come sempre si dimostra ogni guerra4 • Dovrebbe obbligare ad una assunzione di responsabilità, tempestiva, coeren­te: del singolo, prima che della comunità. Un siffatto ammonimento riscatta l’eroina sullo stesso piano ,,politico”, altrimenti anonimo, restituisce alla tragedia, banalmente romanzesca (o romanzata), una dimensione eroica urgente, ulteriormente angosciosa. Medea, in realtà, protesta il proprio ed interiore rovello, è dilaniata dall’inevitabile cri­mine, straziata dal precoce rimorso: dal piano’ personale, familiare, tribale è trascinata su quello civile, comunitario, integralmente umano. Ma, con sorpresa e sofferenza, sco­pre la irrimediabile ambiguità della coscienza: al determinismo tradizionale, alla razio­nalità ingannevole predicata di recente, si sostituiscono insopprimibili impulsi, tra loro opposti, frenetici. Scopre la fluidità del nostro essere, la fragilità precariamente esi­stenziale, protesta una concezione dilacerata del proprio self Una acquisizione sbalor­ditiva, fallimentare: che si dimostrerà tuttavia, ed oggi si conferma, epochemachend5.
Chi intendesse, nei perigliosi versi: ,,I n;alise what evil I’m about to do, but drive, which is the cause of the most terrible evils far mortals, is master of my plans”6, rischia una banale tautologia. Si preclude la intelligenza dello spietato rovello, il corrusco quanto inane lampeggiare della rivelata coscienza, il conclusivo naufragio di siffatto …

B.M.


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