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Ritmo, parola, immagine: termini chiave della ricerca teatrologica. A proposito dell’agone delle Rane aristofanee

A. M. Andrisano


Abstract 

La commedia aristofanea, pur non esente, nei secoli successivi alla sua affermazione sulla scena ateniese, da valutazioni di inattualità a causa delle tematiche e delle situazioni proposte, riveste notoriamente un ruolo centrale nel corso della tradizione dei testi classici a partire dall’esperienza alessandrina*. Se, ad esempio, sul versante della rappresentabilità (ma non della lettura) viene penalizzata dal noto confronto plutarcheo a favore del più universale Menandro*, per molti altri aspetti, a partire da quelli strettamente linguistici, non cessa di essere oggetto di considerazione e di attenzione colta: basti pensare ancora in epoca imperiale al dissimulato, e non sufficientemente indagato, apprezzamento di un autore cosmopolita come Luciano, tra le cui fonti, non sempre esplicitamente dichiarate, i testi di Aristofane, nonché quelli della tradizione giambica e comica in generale, vanno certo iscritti*. Vorremmo in questa sede mettere in luce (per sottolineare ulteriormente l’importanza delle tematiche del Convegno di cui andiamo pubblicando gli Atti) come le partiture del nostro Comico, che ritroviamo in qualità di personaggio semiserio nel Simposio platonico, ammesso non a caso in una cerchia di filosofi e intellettuali, abbiano incisivamente condizionato le successive analisi critiche e le conseguenti valutazioni dei testi del teatro antico (non solo comico) sulla base di una imprescindibile implicita premessa, che i testi nascessero per la scena, intimamente ancorati a codici comunicativi non verbali…


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