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Dossier 4. Andromaca a Siracusa

RACCONTATA DAL “DRAMATURG”

DEM201162317

Lucia Degiovanni


Abstract 

Andromaca, come un naufrago, aggrappata a un relitto di nave, una prua spezzata: è questa l’immagine, un po’ straniante, che apre l’Andromaca di Euripide andata in scena tra maggio e giugno 2011 nell’ambito del XLVII ciclo di rappresentazioni classiche al teatro greco di Siracusa. La scena, realizzata da Maurizio Balò, rappresenta i resti di un naufragio: allude alle conseguenze della guerra di Troia che si ripercuotono, a distanza di tempo, sia sui vincitori che sui vinti. L’ambientazione marina, nell’intenzione del regista, Luca De Fusco, è legata alla dea del mare Teti, che incornicia con la sua presenza – inizialmente invocata, alla fine reale – l’intera tragedia.

E proprio il personaggio di Teti, interpretato da Gaia Aprea, è il fulcro della chiave interpretativa che impronta questa messa in scena. Il regista, con evidente innovazione rispetto al testo di Euripide, immagina che quando, alla fine del prologo, Andromaca, che si è rifugiata come supplice nel tempio di Teti (qui rappresentato da una prua di nave spezzata), invoca la protezione della divinità («tendo supplice le mani alla statua della dea e mi sciolgo in lacrime, come goccia che stilla dalla pietra», vv. 115s.), la dea si materializzi veramente, assumendo le sembianze di donna mortale, e svolga in questa veste la funzione drammaturgica di corifea, recitando la parodo.


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