DEM2015206632
Alice Bonandini
Abstract
Starting from a theoretical reflection on translation and the semiotic of theatre and humor, this paper aims to describe a didactic approach intending to use translation as a hermeneutic resource, in order to promote a deeper comprehension of classics. The presented experience concerns the translation of Miles gloriosus’ first scene carried out by the TFA class (i.e. the postgraduates in teacher training) of the University of Trento, which was staged by director Michele Comite in the form of puppet theatre (see https://vimeo.com/143231079). The idea behind the translation was to reconstruct the main features of Plautus’ comedy by systematically asking the question: “why did the Roman public laugh when hearing these words? How can we get the same effect in translation?”. In such an approach, what matters is not the final product, but the process of individuation of the functions of the text. The rewriting of just one scene stimulated a critical reflection on many features of Plautus’ linguistic and dramaturgical technique. Special attention was paid to the relationship between translators and stage director. The dialectic between the philological and the theatrical point of view is a very important element, since it allows us to understand the creative context of ancient comedy, which was originally a script rather than a written text.
Partendo dalla riflessione teorica sul senso del tradurre e sulle peculiarità semiotiche del testo scenico e in modo particolare comico, questo contributo intende proporre un approccio didattico in grado di rendere la traduzione una risorsa ermeneutica, orientata ad una comprensione più piena e problematizzata dell’antico. L’esperienza presentata riguarda la traduzione della prima scena del Miles gloriosus, che è stata approntata dagli specializzandi del TFA dell’Università di Trento e successivamente messa in scena, nella forma del teatro dei burattini, dal regista Michele Comite (vd. https://vimeo.com/143231079). Il criterio che ha ispirato la traduzione è stata la ricostruzione delle principali peculiarità del comico plautino: non una traduzione verbum pro verbo, ma una riformulazione basata sulla domanda: “qual è il motivo per cui questa battuta doveva far ridere? Come possiamo riprodurla in italiano?”. Una modalità traduttiva che si inserisce in una didattica laboratoriale dove ciò che conta, più che il prodotto, è il processo di individuazione delle funzionalità del testo. La riscrittura di una sola scena, infatti, ha consentito di appropriarsi in modo critico di molte peculiarità della lingua e della drammaturgia plautine. Fondamentale è stata la stretta sinergia tra traduttori e attore-regista. Proprio la tensione dialettica tra l’istanza filologica e quella registica si è infatti rivelata un elemento di grande significato, perché ha consentito di toccare con mano l’originaria dimensione creativa del teatro plautino, che fu copione di una performance prima di divenire testo scritto.
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