DEM201516842268
Traduzione a cura di: Benedetto Marzullo
Questa piccola edizione del Pluto nasce come supporto di una fortunata messinscena*. La prima redazione risale a venticinque anni orsono, concludeva la traduzione di tutto Aristofane, cui attendevo dai primi anni Cinquanta. In ulteriori ristampe ha subito ritocchi e rifacimenti, il collaudo di lusinghieri Premi letterari (Viareggio 1968), il saccheggio, non meno cattivante, di improvvisati traduttori.
Gli interventi, questa volta, sono tutt’altro che occasionali: è la funzionale messinscena a smascherare oscurità e carenze della stesura primaria, a denunciarne le alterità o falsità, nei confronti del testo greco. Non esistono buone, non dico ottime, traduzioni. Risulteranno, nel migliore o più onesto dei casi, meno cattive, non del tutto estranee all’ originale. Tradurre implica contraddizioni insanabili, non solo i codici significanti divergono dispettosamente, ma in modo disperante quelli contenutistici, culturali. La necessità del comunicare, supponendo una comunità e continuità dello spirito, malgrado la separatezza di spazi e tempi, ingiunge di perseverare, pur consapevoli della approssimazione, dell’arbitrio. Tuttavia ripagando, sia sul piano letterario, sia giovandosi della vicaria esperienza del tradurre, per un arricchimento peculiarmente umanistico. Senza confronto con civiltà altre, con gli altrui rovelli concettuali e formali, non si dà cultura: dalla traduzione dell’Odissea di Omero nasce (dopo cinque secoli) la letteratura latina, alla base della letteratura, della stessa lingua tedesca è la Bibbia, volgarizzata da Lutero.
Se l’alterità storica, geografica, induce al pessimismo, altro abisso si oppone all’opera di chi traduce una pièce teatrale. La corrispondenza dei testi, nel caso della letteratura, si può immaginare biunivoca, ha dimensioni quanto meno parallele, trasponibili (ma non reversibili). Quello teatrale è, notoriamente, un protocollo parziale, il copione assomiglia ad una partitura, che, a dispetto di strumenti, temperamenti, consuetudini degli esecutori, obbedisce ad un disegno persistente, inalterabile. In nessun caso, tuttavia, la messinscena si esaurisce nel compitare il testo. Il cui codice è multiplo, inestricabile: oltre alla sequenza verbale, ogni altro medium comunicativo (gestuale, sonoro, canoro, musico, coreografico, decorativo) viene implicato. Un universo squisitamente, se non prevalentemente, «corporeo», obbligato a ciascuno dei linguaggi sensoriali, sapientemente intrecciandoli con pause e silenzi, privilegiando (già con la diversificazione del «tempo» interno) la comunicazione sospesa, funzionalizzando significativi intervalli. A disdo
ro di quello letterario, dovremmo definirlo «musico»: a differenza della parola, non è infatti trascrivibile, è vissuta spazialità, irripetibile. Costituisce un evento, la magia stessa del teatro, che si produce in spettacolo.
Senza il testo, senza drammatica vicenda, lo spettacolo rischia di essere gratuito,fine a se stesso, esibizione circense: nei casi più fortunati, dilettosa, vaniloqua haute couture. La parola del teatro, del resto, non è di convenzionale natura. Oltre alla valenza lessicale, ha una capacità proiettiva e produttiva dai folgoranti esiti. Una sorta di cellula germinativa, in cui è iscritto l’intero ed apparentemente eterogeneo spettacolo, la sua oggettivazione visuale. Pronunciata sulla scena, questa parola di-spiega ineffabile pregnanza, mette in moto una macchina esecutiva insospettata, di straordinaria ricchezza e potenza.
Gli uomini di teatro, molto meno i semplici aficionados (ma per nulla.filologi mestieranti), sono in grado di leggere quello spartito, in cui consiste il copione teatrale1 di intuirne le articolazioni molteplici, rigorosamente però sinfoniche. Di proiettarsene, davanti agli «occhi della mente», la rappresentazione latente (Aristotele): attuare la virtù, sintomaticamente prospettica, di siffatta «parola», delle strutture significative, ma soprattutto sintattiche, architettoniche, in cui segretamente consiste. La «parola scenica» ( diversamente da quella di verdiana memoria, furbescamente interessata al plateale effetto) è, in sostanza, intraducibile, non costituisce entità, ma progetto multiplo. La parola comunicativa non ricorre allo spazio, si identifica col pensiero, non conosce che sviluppo temporale: la «parola scenica» viene integrata dalla dimensione spaziale, corporea, luculentemente sensoriale. È intraducibile, perché sintomatica, performativa: si trasforma, con la mediazione dell’attore, in gesto, o canto o danza (ma anche ballo e balletto,fin impetuoso musical). Ha prosodia e ritmo esclusivi, sommariamente ripetibili, solo e direttamente esperibili, con fisica presenza e partecipazione.
Non meno insidioso è altro, ali’ apparenza disambiguo linguaggio, quello in cui consiste la comicità: comunica attraverso il riso. Per quanto elementari, spesso primordiali (o, all’apparenza, universali) i suoi meccanismi, il senso che esso produce ha più aguzza ed ardua storicità: intraducibile, in quanto irripetibile corto-circuito. Il repertorio si
tuazionale1 caratteriale, ideologico ha evidenza in genere immediata, ma ai tricks verbali (non di rado meccanici) linguistici, stilistici, ripugna l ‘imitazt?ne, la pura e seniplicistica iterazione, la tra
duzione. Il mez o è, rigorosamente, il messaggio: la mutata ?verbalizzazione ne dissipa la metafisica
natu’.a, ‘!1 lgrado il sussidio di volenterose componenti ?mimiche, gestuali, ambientali. La sorniona
allure di questa (di ogni) commedia, se consegnata ad na nuova tes ttura vocale, a differenti prosodie e ?ritmi, _ .rtsch _ a d?i smarrirsi, di afflosciarsi sgrade volmente. ?Diffiale, _ se non impossibile il rimedio
la ricerca (per definizione balbettante) di non bana’. li surrogati.
Il piccolo Pluto, con cui mi sono arrovellato nuov mente, si sforza di progredire su questi impervu, _? quanto dilettevoli sentieri. Si offre soprat
tutto frutzton?Ilo e, mespettato?orta e, sostanquale guida iale per (scarspmente una migliorefor male) d, . una ? _1ncond1tafamnazione. ? E tenue trac
cia di una perigliosa, corale «cantata», di un dramma giocoso, essenzialmente musicale. Si offre verbale (se non verboso) libretto, insomma, di una spettacolare esperienza.
B.M.
Scarica l’articolo completo: